Tutto cambia rapidamente. Il mondo muta. E lo sport si adegua. Intervista di aAniello Franco a Paolo Carito

Tra pandemia, crisi energetica, guerra e trasformazione digitale. L’industria dell’intrattenimento sta attraversando un momento delicato, di riflessione a cui deve però seguire l’azione. Serve un’analisi lucida. Un approccio visionario. La volontà di leggere il momento storico e di affrontarlo con lungimiranza. Il nuovo libro di Paolo Carito ed Agostino Piacquadio, con prefazione di Fabio Capello, dal titolo “Sport, Intrattenimento e Digitalizzazione: l’enter(sport)ainment come nuovo modello di business” è la risposta a tali riflessioni. Il libro tratta il tema dell’impatto del digitale e della pandemia sull’industria dello sport, con riferimenti specifici ai cambiamenti delle logiche attraverso le quali le realtà sportive cercano di coinvolgere i tifosi ed intercettare nuovi pubblici. D. Nel libro “Sport, Intrattenimento e Digitalizzazione: l’enter(sport)ainment come nuovo modello di business”, viene spesso sottolineata l’evoluzione del tifoso che diventa un utente, un consumatore a tutti gli effetti. Se dovessimo scattare una foto e individuare il punto di svolta di questa trasformazione, quale sarebbe il momento cruciale? R. Come in tutti i processi evolutivi è veramente difficile individuare un punto di svolta. Però se dovessimo scegliere dei momenti salienti, uno sicuramente sarebbe quello della diffusione dei social media con il conseguente sbarco di tutti gli stakeholder del mondo sportivo sulle piattaforme Facebook, Instagram, Twitter e poi ora Tik Tok e in seconda battuta la diffusione degli smartphone e della rete 4G/5G. Il primo evento ha sdoganato di fatto una interazione e una comunicazione istantanea e in tempo reale. Il tifoso fino all’avvento dei social media non aveva modo di avere notizie della sua squadra o del match se non tramite abbonamento pay-tv e acquisto del quotidiano sportivo. Di riflesso è cambiata la comunicazione delle società, i tweet hanno soppiantato i comunicati stampa, i profili social sono diventati il canale di comunicazione istituzionale superando il sito web. Questo, assieme alla diffusione degli smartphone e una stabile rete mobile ha aperto la pista all’ingresso delle piattaforme OTT e del cosiddetto everywhere streaming. Sempre meno tifosi guardano la partita comodamente da casa adeguando la propria agenda e i propri spazi al palinsesto sportivo. Cresce invece la quota di persone che segue la propria squadra del cuore, ad esempio, in treno, al ristorante, in piazza comodamente dal proprio smartphone, incastonando lo sport all’interno della propria routine. D. Questa trasformazione vissuta dal tifoso, ma prima ancora dall’uomo, come si traduce concretamente in questo approccio chiamato enter(sport)ainment? R: In primis dobbiamo sottolineare come enter(sport)ainment sia un concetto che mette alla base la dimensione per la quale lo sport è una forma di intrattenimento con le sue peculiarità, i suoi attori e la sua cultura. Da un punto di vista aziendale, rappresenta l’insieme delle manovre che sono necessarie affinché un ente, una società, possano affermarsi nel nuovo contesto competitivo. Ad esempio, dotare la propria organizzazione in maniera intelligente e flessibile, in grado di saper sfruttare al massimo le opportunità offerte dalla digitalizzazione e orientarsi all’intrattenimento. Dal punto di vista del tifoso-utente, questa trasformazione si traduce concretamente in un approccio più esigente, più critico, tipico di chi vuole essere “catturato”. Lo sport, infatti, inizia a competere per il tempo libero dell’uomo come una qualsiasi altra forma di intrattenimento e per questo deve assumerne sempre più i connotati senza snaturarsi. L’enter(sport)ainment è la risposta all’esigenza di contrastare il calo dei fan verso lo sport tradizionale. Sebbene questo modello sia in grado di offrire nuove opportunità economiche, contemporaneamente sollecita i manager dello sport ad un cambio radicale di visione e alla conoscenza profonda delle dinamiche dell’intrattenimento. L’obiettivo di fidelizzare e allargare il numero dei fan, e di superare la concorrenza della grande quantità di offerte alternative impone alle organizzazioni sportive di utilizzare un approccio omnicanale per offrire contenuti e catalizzare una sempre maggiore attenzione. D. La necessità di nuove regole, nuovi format e nuove competizioni, come da voi anticipato nel libro, è una risposta all’evoluzione tecnologica, una necessità di allargare le fonti di ricavo o un modo per alterare gli equilibri competitivi? R: È difficile fornire una risposta univoca e trasparente. Solitamente ci si interroga quando qualcosa non va bene. Ad esempio, il calcio sta perdendo (o non attirando) moltissimi giovani spettatori contrariamente a quanto stia facendo la F1 che ha superato la sua fase critica con l’avvento di Liberty Media e che sono, probabilmente, i migliori rappresentanti del modello enter(sport)ainment. La necessità di nuove regole probabilmente trova le sue radici più profonde nello sviluppo tecnologico. Pensiamo al VAR, all’hawk-eye o alle sperimentazioni per la rilevazione automatica del fuorigioco. Mentre i nuovi format e le nuove competizioni nascono come idee o progetti in relazione alla necessità di dover attirare nuovi spettatori ma essendo alla base dell’appeal l’incertezza del risultato di una performance non si può pensare di scindere i due aspetti. Rimanendo in tema F1, ogni volta che c’è stato un cambio di regolamento tecnico c’è stato quasi un ribaltamento di gerarchie, almeno tra i top team, e questo contribuisce ad attirare nuovi spettatori e di conseguenza nuove revenues. D. Invece, rimanendo sul “campo”, quanto pensate possa ancora cambiare la concezione e confini attuali dello sport? R: Gli unici confini che non possono essere superati sono quelli che non possono essere pensati. Tendenzialmente lo sport mischiandosi con il mondo digitale ha un infinito potenziale di scenari. Sport e spettacolo sono un mix micidiale per l’intrattenimento però questo è un cambiamento non facile da gestire perché, per certi versi, il mondo sportivo è un mondo conservatore con le proprie regole. Però l’evoluzione tecnologica, e non, abbraccia tutti, anche i rami più conservatori. Dieci anni fa, senza andare troppo indietro nel tempo, sarebbe stato ai limiti dell’utopistico pensare di vedere in TV o sullo smartphone individui che giocano al PC o qualunque altra console a titoli come League of Legends o, più semplicemente, Fifa o Football. Come abbiamo sostenuto nel libro, anche il COVID è stato un acceleratore per questa accettazione. L’assenza, per ovvi motivi, di match e competizioni ha portato alla ribalta il mondo virtuale che per alcuni mesi del 2020 è stata l’unica fonte di sport a tutti gli effetti. Cambiano le abitudini, cambia il modo di fruire e cambia la performance. Una delle nostre idee è che in futuro i tifosi abbiano sempre più potere durante una gara dando un boost o promuovendo cambi tattici, un po’ come avviene attualmente in Formula E con il cosiddetto Fanboost, tramite il quale i fan possono regalare extra potenza. I fan non hanno più un approccio passivo, “da divano”, anzi vogliono essere sempre più partecipi e non è, appunto, da escludere che un giorno possano arrivare addirittura a sostituirsi ad un allenatore durante il match. Proprio come avviene nel mondo dei videogames.

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